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Immateria

Rossella Romano

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Non devo avere paura. Le cose che strisciano verso di me non sono reali.

Non sono reali.

Ma… le sento avvicinarsi, sento il loro addome che sfrega sulla roccia, dimenandosi; anche se ho gli occhi chiusi, so che presto comincerò a vederle.

I miei compagni dormono, accostati l’uno all’altro. Questa è la realtà.

Ma io che sono già sveglia, soccombo all’Incubo ogni momento di più. Dovrei allontanarmi, ma sono ancora troppo fredda; non riesco a muovermi, non riesco nemmeno ad aprire gli occhi.

E quello che vedo, con lo sguardo interno della mia mente, è la grotta vuota, appena rischiarata dal bagliore azzurro dei vodir che infestano le pareti. Credo di essere sola, sdraiata a terra, e là in fondo, nel buio, intravedo la forma di quelle cose.

Ancora pochi attimi e impazzirò, come i nostri nemici reali, quando affrontano il Sentiero e sono sconfitti dall’Incubo che siamo noi a creare, per proteggerci durante il Sonno.

La luce a poco a poco le rivela. Strisciano perché non hanno zampe, solo piccole mani bianche, che si aggrappano alla roccia. Il corpo è nero, formato da anelli rigidi che sfregano l’uno sull’altro, con schiocchi che sono insieme sordi e viscidi. La grande testa dondola da un lato all’altro. Ha occhi piccoli e vuoti, che mi fissano a tratti, e bocche senza labbra dove non dovrebbero essere. Emettono un verso inarticolato e ruvido, che lentamente si trasforma… no, non è possibile… si trasforma nel mio nome.

Qualcuno mi aiuti, cercano me!

Quel grido di condanna mi tortura, ma il mio corpo si sta svegliando, e il mio udito comincia a riconoscere la verità, dietro l’illusione dell’Incubo.

Un suono cupo, potente, lontano, il Suo suono, si sovrappone ai versi delle creature mostruose.

Finalmente apro gli occhi e per un attimo ancora le vedo: sono sopra di me, dalle bocche stillano umori capaci di sciogliermi. Ma dopo il suono si ripete, riecheggia nella grotta, richiamandomi alla realtà…

Si guardò le braccia, le mani, le sollevò a sfiorarsi il viso, che sentiva bagnato dall’immonda bava dei mostri.

Nella morta luce azzurra i corpi dei suoi compagni erano immobili, e al tocco freddi come la pietra.

Si allontanò strisciando, preda dell’inquietudine irrazionale generata dall’Incubo. L’assecondò, per riuscire a distaccarsi del tutto, e ancora e ancora quel profondo, ritmico irato rullio tornò a farsi sentire, risvegliandola, accendendo in lei una liquida emozione.

Prese a correre; il suo cuore accelerò i battiti, la sua corsa accelerò con esso.

Sono stata la prima a svegliarsi. Sarò la prima a vederla.

Raggiunse l’ingresso della grotta e si fermò, ansimante.

Era l’assenza.

In alto Tisir e Runa splendevano nel buio, contendendosi il cielo ancora limpido.

In fondo al baratro, ai piedi del sentiero scosceso, la Foresta mormorava e gridava, investita dal vento che trasportava il Suo profumo.

Più oltre si stendevano i domini del Popolo Vigile.

La città galleggiava sul proprio riflesso. Appariva bella e falsamente innocua. Era fin troppo facile immaginare l’eccitazione dei cacciatori chiamati a raccolta. Li sentiva ridere, incitarsi, vedeva splendere nei loro occhi la ferocia di cui presto lei e gli altri sarebbero caduti vittima.

Distolse lo sguardo, disgustata, e lo diresse nel cielo sconvolto, sopra le montagne che chiudevano l’orizzonte.

Il lampo, la Sua luce, vibrava fra le nuvole.

Il tuono, la Sua voce, le percuoteva.

Si sedette, osservando la Tempesta avvicinarsi con un misto di gioia e soggezione, ignorando la fame e la sete, senza quasi accorgersi dei suoi compagni che, ora svegli, la raggiungevano in silenzio e s’inginocchiavano a terra, in attesa.

La Stagione è cominciata.

Vide il chiarore dei due satelliti offuscarsi, inghiottito dalle nubi. E nel buio improvviso, ferito da lampi sempre più vicini, scosso da tuoni vivificanti, La sentì arrivare.

Sollevò il viso ad accoglierla, ma come sempre fu Lei che l’accolse, la investì, la dominò.

Pioggia.

 

«Mia dolce Silvia,

probabilmente un sms di scuse sarebbe più in tono con questi tempi, ma so quanto ti piaccia ricevere lettere, e oltretutto scrivere servirà a chiarirmi le idee.

Scusami per come sono scappato, ieri. Ero troppo confuso per riuscire a spiegarti, o a spiegare a me stesso, quello che è successo.

Ho trascorso la notte girando per le strade, stordito, senza vedere niente di ciò che mi circondava. La mia mente rigurgitava immagini di quell’istante, di quel solo istante durato due anni.

Non sono invecchiato di un giorno; sono scomparse tutte le cicatrici, la barba, la magrezza dovuta alle privazioni; fisicamente sono lo stesso di ieri, (ieri! Dio!), ma mentalmente… è come se i miei vent’anni fossero diventati cento, o forse mille.

Nostro padre aveva ragione: non riusciremo mai a portare niente indietro con noi, non avremo mai una prova concreta. Se almeno il corridoio fosse più simile ad un laboratorio, se fosse più fantascientifico… ma è solo un passaggio, in cui si ode il soffio del vento, senza sentirlo sulla pelle…

Eppure ormai ne sono assolutamente certo: è tutto reale. Nessuno sarebbe capace d’inventarsi quello che ho visto. I particolari minuti, come l’aria più densa, o il senso di pesantezza dovuto alla diversa gravità, e quel panico stralunato che è diventato da subito il mio spietato compagno…

In questi due anni sono fuggito migliaia di volte, inseguito da rumori agghiaccianti, in una notte estranea, davvero troppo lunga da sopportare; ho mangiato creature innominabili, creature che nemmeno ce l’hanno, un nome; sono stato umiliato da una natura aliena, primordiale, e non ho scambiato una sola parola con nessuno. Ho conosciuto il silenzio dell’anima, la vera solitudine, al punto che i sussurri degli studenti, qui, in biblioteca, mi sembrano una violenza inaudita, una cacofonia insopportabile.

Già, Silvia, sono venuto qui, in questo luogo così pieno di storie da traboccarne all’esterno. Ho avuto il buon senso di afferrare il cappotto, ieri, ricordi? Quello nero, con le tasche grandi, in cui infilo di tutto. Ci ho trovato il mio libro preferito: “ Uno yankee del Connecticut alla Corte di Re Artù”, preso a prestito, a voler credere alla cedola, soltanto da dieci giorni. Un’eternità, secondo quello che sento.

Be’, mi è sempre piaciuto quel matto viaggio nel tempo; forse speravo di vivere qualcosa di simile; ma ora so cosa significhi viaggiare sul serio, e misurarsi con un mondo cui non apparteniamo, cui non eravamo neanche lontanamente destinati… Hank Morgan se l’è cavata alla grande, in quel libro; io sono stato così tante volte sul punto d’impazzire che ancora adesso dubito di me stesso.

Non credo che tenterò tanto presto di viaggiare di nuovo.

E qui arrivo al punto: ti prego, davvero, ti prego, non lo fare. Sei uguale a papà. So che partiresti anche subito. NON LO FARE. La certezza del ritorno non è garanzia sufficiente.

Aspetta che ti racconti, e capirai. Sei stata la mia fonte di saggezza fin da tempi di cui non ho memoria. Per una volta, lascia che sia io a guidarti.

Fidati di me.

Ricordo di cosa parlavamo, prima che partissi. I nostri genitori ci hanno lasciato un’eredità troppo pesante. Dobbiamo dividerla con qualcuno. E il luogo in cui sono mi suggerisce il modo di trovare la persona giusta.

Lascerò una copia di questa lettera nel romanzo di Twain, prima di restituirlo.

Non è un libro nuovo e per i ragazzi esistono versioni ridotte, perciò forse rimarrà a lungo sugli scaffali. Ma prima o poi qualcuno lo prenderà a prestito, ed è probabile che possieda sufficiente spirito d’avventura da essere stuzzicato da ciò che ho scritto, e abbastanza intraprendenza da tentare di rintracciarmi. Poi vedremo.

Credo che dopotutto tornerò ad immergermi in questa nostra realtà di contatti istantanei, (in tempo reale, ha, ha), e chiederò di spedirti un’e-mail, così leggerai la mia lettera prima che io torni a casa.

Ti voglio bene.

Il tuo sperodattilo,

Marzio»

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Rossella Romano

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Leggi l'anteprima

Leonardo è immobile, in piedi nel corridoio, a occhi chiusi. Sa che, quando troverà il coraggio di aprirli, sarà tutto diverso. Un po' già lo prevede: oltre le palpebre è apparso un chiarore incongruo, in contrasto col buio intravisto prima che Marzio chiudesse la porta alle sue spalle; sul viso e fra i capelli sente un vento strano, evocativo, profumato di terra umida; e la torcia elettrica che teneva in mano, per darsi coraggio… adesso sembra proprio l'impugnatura di una spada.

«È soltanto una visione» ripete a se stesso. Ma sa che, se oserà andare avanti, il corridoio si attiverà anche a livello fisico, oltre che mentale, trascinandolo in un viaggio vertiginoso che terminerà, quasi certamente, su un pianeta alieno.

«C’è solo una cosa che ho bisogno di sapere» ha chiesto a Silvia prima di scendere nel sotterraneo. «Qual è il vostro scopo? Di cosa andate in cerca?»

«Lo scopo ultimo sarebbe entrare in contatto con un'altra civiltà…»

E appunto un'altra civiltà lo attende alla fine del viaggio. Due popoli che vivono in precario equilibrio, ognuno a spese dell'altro, dilaniati da una guerra millenaria, fratricida, incredibilmente crudele, impossibile da fermare…

Leonardo imparerà a vivere secondo i ritmi di Sostanza; ogni singolo giorno si confronterà con la sua natura ostile, primitiva, ma anche illuminante. Sa che sopravvivrà: l'unica sua certezza è quella del ritorno.

Ma si troverà di fronte a risposte che non cercava e a un dilemma da risolvere: «Quali forze saresti disposto a muovere, se scoprissi che il tuo posto nel mondo non è nel tuo mondo?»

L'autrice

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Rossella Romano, classe 1971, è sposata e ha due figli, una ragazza di 26 anni e un ragazzo di 20. Si definisce curiosa e le piace fantasticare, immaginare aspetti nascosti nella realtà; per questo scrive spaziando fra fantascienza, fantasy e horror. I suoi personaggi sono persone normali catapultate in situazioni straordinarie, che siano case infestate, viaggi inaspettati verso pianeti lontani, o mondi segreti.
Fra i quattordici e i ventiquattro anni è stata prima giocatrice e poi Dungeon Master del famoso gioco di ruolo Dungeons & Dragons, un'esperienza che considera fondamentale per la sua formazione.
Nel 1996 scrive il suo primo romanzo fantasy, Il Segno dei Ribelli, che cinque anni dopo viene pubblicato dalla Casa Editrice Nord, numero 173 della Fantacollana. Dal 31 luglio del 2014 ha ripreso a pubblicare come indipendente e, di conseguenza, a scrivere ad un ritmo molto meno rilassato rispetto a quello tenuto negli ultimi dieci anni.

Il suo sito web


Perché l'abbiamo scelto

Immateria, lo diciamo subito, non è un libro semplice. È un romanzo denso, in cui lo spazio più importante è dato alla crescita interiore del protagonista e, con lui, degli altri personaggi, piuttosto che all'azione spettacolare, all'atto eroico tipici di tanti best seller del genere. Può, quindi, apparire ostico al lettore alla ricerca di una lettura "facile", agile, da page-turner.

Ma queste stesse caratteristiche sono il punto di forza di questo libro: a chi piace leggere storie scritte veramente bene, intense, curate nel minimo dettaglio, coinvolgenti pur senza cercare scorciatoie, straordinariamente umane, seppur ambientate in mondi fantastici, a costoro sentiamo di consigliare, di cuore, la lettura di questo bellissimo romanzo.