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IlLibro delle Ombre

Stefano Lanciotti

Uno

Beryl Anderson osservò il vassoio appoggiato sul bancone e controllò rapidamente che ci fosse tutto quanto era stato ordinato. Due caffè, ciambelle, un cappuccino. Spuntò le ordinazioni dal taccuino, che teneva infilato nell’ampia tasca del suo abito da lavoro beige, sul quale campeggiava il logo del Fairview Cafè. Sollevò il vassoio e lo portò fino al tavolo sette, il più vicino alla vetrata che dava sulla Tarrytown Road, la strada che tagliava in due il paesino di Fairview, al quale il locale doveva il nome. Era una ragazza di circa diciassette anni – quasi diciotto, avrebbe fatto notare lei – dagli occhi profondi e neri. Così come neri erano i lunghi capelli che le arrivavano ben oltre le spalle e che portava legati in una coda quando, come quel momento, era al lavoro. Alta e slanciata, possedeva una bellezza delicata, d’altri tempi.

Sorrise appoggiando il vassoio sul tavolo e distribuendo caffè, cappuccino e ciambelle alla rumorosa famiglia che li aveva ordinati, poi si guardò in giro. C’erano solo altri tre tavoli occupati e tutti i clienti avevano già fatto le ordinazioni. Sospirò e si avvicinò a quello occupato da due ragazze della sua età. Una era rossa, con il viso coperto di efelidi e labbra carnose, l’altra invece era castana, con il viso tondo e luminosi occhi azzurri. Ridacchiavano tra loro sfogliando una rivista per teenager, ma Beryl sospettava che nei loro discorsi ci fosse qualcosa che la riguardava. Nessuna meraviglia: erano amiche da tanti anni e avevano frequentato la stessa classe per tutte le superiori, finite solo il mese prima.

“Cosa c’è che vi diverte tanto?” chiese, appoggiandosi con un fianco al tavolo. Il signor Miller non voleva che lei si sedesse assieme ai clienti anche se, nella quasi totalità dei casi, facevano parte della piccola comunità di Fairview ed erano frequentatori abbastanza abituali. Per tutta risposta ricevette altre risatine e uno sguardo divertito da parte di Anne, la rossa.

“Me lo dite o volete continuare a ridacchiare come due cretine per tutta la sera?”, insistette tentando di usare un tono scocciato. Ma non ci riusciva: provava un grande affetto per loro, pur rendendosi conto che erano molto diverse da lei. La rivista appoggiata sul tavolo, sulla cui copertina spiccava il volto di Justin Bieber, era lì a testimoniarlo. Alla fine alzò le spalle e fece per allontanarsi, diretta al bancone.

“Hai visto quel ragazzo seduto al tavolino all’angolo?” si decise infine a chiederle Pam, la ragazza castana.

Beryl girò la testa solo un attimo e scoccò un’occhiata in quella direzione. In realtà non ne aveva bisogno: lo aveva servito al tavolo e ne era tornata con una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Era bello, ma anche inquietante. Capelli color rame, occhi verde smeraldo, viso dai tratti decisi e fisico da quarterback. Aveva forse un paio di anni più di loro e non era di Fairview. Se lo fosse stato, nessun dubbio che le sue due amiche avrebbero saputo tutto di lui, dal numero di scarpe a quello di fidanzate che aveva avuto.

L’inquietudine con cui si era allontanata da lui non era però dovuta al suo aspetto, che pure aveva qualcosa di insolito, anche se non sarebbe stata in grado di dire cosa. Quando i loro sguardi si erano incrociati, aveva avuto l’impressione che fosse scoccata una scintilla. Nulla a che vedere con quella - metaforica - di un colpo di fulmine, però: era stata quasi una scossa elettrica, che le aveva lasciato un malessere addosso e la sensazione improvvisa che non fosse la prima volta che lo vedeva. Se non fosse stato un pensiero assurdo, avrebbe giurato che negli ultimi giorni c’era stato spesso proprio quel bel ragazzone al margine del suo campo visivo, appena al di là del suo sguardo, oppure nascosto tra le ombre della sera. Ovviamente si era data della sciocca e si era affrettata a portargli l’ordinazione, per poi allontanarsi.

“Sei rimasta folgorata dalla sua vista?” le chiese Anne, accorgendosi di quanto velocemente avesse distolto lo sguardo da lui e lo avesse abbassato, in silenzio.

“Non essere stupida” le rispose Beryl, per la prima volta in tono infastidito, quella sera. Anzi, forse per la prima volta da quando si conoscevano. Per qualche istante Anne e Pam tacquero, sorprese dalla reazione, poi lei addolcì la sua espressione e disse: “scusa, non volevo…”

“Ahi, ahi…” disse Pam, scuotendo la testa mentre un ampio sorriso le illuminava il volto. “Qui c’è una ragazza che si è invaghita dello straniero bello e misterioso!”

“Ma che invaghita!” protestò Beryl, sussurrando in modo da far abbassare il tono di voce anche alle due amiche e lanciando un’occhiata in tralice al ragazzo per controllare se potesse sentire la loro conversazione.

“Guarda che anche lui ti ha messo gli occhi addosso” le mormorò con fare cospiratorio Anne. “Era proprio di questo che stavamo parlando quando non c’eri. Alza gli occhi e ti guarda a intervalli regolari di non più di due minuti.”

“E che sguardi!” rincarò la dose Pam. “Il fustaccio sembra ti voglia mangiare con gli occhi!”

“Ma che dite!” rispose Beryl, arrossendo visibilmente.

A dire il vero si era accorta delle lunghe occhiate che il ragazzo le rivolgeva anche se - invece di farle scorrere lungo la schiena il piacevole brivido che in genere le provocava il sentirsi ammirata, come immaginavano le amiche - esse non facevano che aumentare il suo disagio. Il giovane non sembrava guardarla con desiderio oppure, come a volte le era successo, con una qualche forma di cupidigia o concupiscenza. La osservava invece come se volesse leggerle dentro, quasi bramasse mettere a nudo non tanto la sua pelle, quanto la sua anima. Le amiche avevano mal interpretato i suoi sguardi, anche se non aveva alcuna intenzione di dirglielo. Rabbrividì.

“Guarda che non c’è nulla di male”, la incoraggiò Anne, toccandole delicatamente la mano appoggiata sul tavolo e facendole l’occhiolino. “Se mangiasse me con gli occhi in quel modo, mi sarei già seduta sulle sue ginocchia.”

“Non mi pare che mi stia guardando in nessun modo particolare” mentì Beryl, scuotendo la testa. “E poi chissà come mai si è fermato in questo buco… scommetto che appena ha finito continuerà verso New York, oppure in direzione opposta - verso il New Jersey - e si farà grasse risate di noi sciocche ragazze di paese.”

“Se avesse avuto così tanta fretta di andarsene, avrebbe finito di mangiare il suo dolce più di un’ora fa”, le rispose Pam, con un sorrisetto ironico dipinto sulle labbra. “Invece mi pare che cincischi come se fosse in attesa.”

In effetti lo aveva notato anche Beryl. Il ragazzo aveva qualcosa in mano con la quale continuava a giocherellare. Da lontano sembrava il ciondolo di una catenina: un oggetto di un nero così intenso che sembrava assorbire la luce.

“Perché non fai la brava cameriera e non vai lì a chiedergli se vuole qualcos’altro?” La voce di Pam la distolse dai suoi pensieri. “Magari è timido e vuole che tu gli dia un’occasione per attaccare bottone.”

Beryl scosse la testa con forza, ma le amiche continuarono a insistere, gesticolando in modo talmente plateale da metterla in imbarazzo. Lanciando loro un’occhiataccia, si allontanò e passò accanto a tutti i tavoli occupati, chiedendo ai clienti se desiderassero ordinare altro. Lasciò il giovane sconosciuto per ultimo.

“Era buono il cheesecake?”, chiese con voce leggermente arrochita da quel timore che continuava a non riuscire a spiegarsi. “Vuoi che te ne porti un’altra fetta? Oppure una tazza del nostro caffè?”

“Nulla, grazie.” Le rispose lui, fissandola in modo da farle abbassare gli occhi. “Il dolce era ottimo, comunque.”

Non aggiunse altro, continuando a fissarla senza neppure un mezzo sorriso, nonostante il tono cortese della risposta. Nel frattempo lei si era resa conto all’improvviso di un’altra particolarità che lo riguardava: il ragazzo parlava un inglese perfetto, quasi troppo. Non aveva la minima inflessione dialettale, se non qualcosa di indefinibile, che non riusciva a catalogare.

Continuava a rigirare tra le mani il ciondolo e, quando Beryl si allontanò, spostò lo sguardo verso la vetrina che dava sul parcheggio. Era come se studiasse i pochi passanti o fosse in attesa di qualcuno o qualcosa. Passando accanto alle amiche, senza fermarsi, la ragazza fece una smorfia e cercò di ignorare i loro gesti e il loro tentativo di farla fermare, probabilmente per incoraggiarla a nuovi approcci.

Durante l’ora successiva fece finta di essere impegnata e cercò di evitare di farsi coinvolgere dai pettegolezzi delle due, incoraggiati dal fatto che il ragazzo non dava alcuna impressione di volersene andare e continuava a lanciarle sguardi penetranti, ignorando tutti gli altri presenti. Alla fine Pam riuscì ad afferrarla per la gonna mentre lei tentava di sgattaiolare verso un cliente di un tavolo poco distante dal loro e Beryl dovette fermarsi.

“Scommetto che aspetta l’ora di chiusura” le sussurrò annuendo. Doveva essere la conclusione cui erano giunte dopo infinite chiacchiere, sbirciate e risatine. “Se un figo del genere mi offrisse un passaggio a casa, gli darei l’indirizzo sbagliato e poi mi scuserei sul sedile posteriore della sua auto!”

“Pam, ma che dici!”, esclamò Beryl arrossendo fino alle radici dei capelli, mentre le due amiche ridevano ad alta voce, incuranti del fatto che tutti si giravano a guardarle.

Fu in quel momento che il ragazzo si alzò di colpo, facendole ammutolire. Era impallidito e scrutava un telefono cellulare che era rimasto per tutto il tempo sul tavolino e sul quale aveva appena ricevuto una brevissima telefonata. Poi, senza una parola, lanciò una banconota sul tavolo e si diresse a passo veloce verso l’uscita. Una volta nel parcheggio, si mise a correre scomparendo dalla loro vista.

“Ecco, lo vedete? Lo avete fatto scappare via!” disse Beryl sfoggiando un finto broncio, mentre era in realtà intimamente felice del fatto che il giovane se ne fosse andato, seppure in maniera così strana. “Rimarrò zitella a vita, se continuate così!”

Le amiche ridacchiarono e la tensione, causata dallo strano e inspiegabile comportamento del ragazzo, svanì lasciando di nuovo spazio alle chiacchiere e ai pettegolezzi. Ben presto di lui non rimase nulla, se non uno strascico di lieve malessere e inquietudine in Beryl, che però andò sopendosi. Stava calando la sera e gli ultimi clienti del caffè uscirono alla spicciolata. Anne e Pam attesero che si cambiasse e che salutasse il signor Miller che, come al solito, si era fermato per fare l’inventario e finire di sistemare il locale. Tutte assieme si avviarono lungo Tarrytown Road, passeggiando senza fretta.

Beryl si rendeva conto, con un pizzico di tristezza, che quello era l’ultimo periodo della loro adolescenza. Avevano finito il liceo e dall’autunno lei sarebbe andata all’università, lasciando Fairview e allontanandosi da loro, che invece avevano ambizioni minori e volevano solo trovare un lavoro e - sospettava - mettere su famiglia. I suoi ottimi voti le erano valsi una borsa di studio in Fisica e fare la cameriera durante l’estate le avrebbe permesso di non dover chiedere soldi ai suoi. Non glieli avrebbero di certo negati ma, poiché non navigavano nell’oro, voleva rendersi il più possibile autonoma.

La chiacchierata sotto quel cielo color oro cupo, con la brezza tiepida che le carezzava il viso, le dava un intenso piacere e lei lo assaporò, sperando di portare con sé quei ricordi negli anni a venire, durante i quali la sua vita sarebbe, inevitabilmente, cambiata. Giunte all’angolo con Rosemont Boulevard si fermarono ancora un po’ a parlare e scherzare, poi si scambiarono un bacio sulla guancia e si separarono. Anne e Pam proseguirono, mentre lei si diresse verso la zona residenziale a nord di Tarrytown Road, diretta alla sua casetta su Longdale Avenue. Erano poche centinaia di metri, ma la piacevole sensazione di poco prima sbiadì appena le amiche non furono più visibili e lei si trovò a camminare sola tra le ombre che cominciavano a farsi più profonde. Le tornò d’un tratto in mente il misterioso ragazzo e si trovò a domandarsi come mai fosse sparito in maniera così strana.

Il battito del cuore aumentò all’improvviso e Beryl non si accorse neppure di accelerare il passo, mentre il suo sguardo spaziava a destra e a sinistra, cercando di penetrare le tenebre che le sembrarono infittirsi più velocemente di quanto avrebbero dovuto. L’inquietudine che l’aveva avvolta per l’intero pomeriggio, pur dissimulata per evitare che venisse notata dalle amiche, tornò a fare capolino nel suo animo. Era sicura di non aver mai visto prima il giovane, eppure la sensazione che il suo sguardo si fosse posato su di lei in precedenza - e più di una volta - sembrava volteggiarle sulla testa come un avvoltoio.

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Il Libro delle Ombre

Stefano Lanciotti

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Chi è veramente Beryl Anderson? Lei è convinta di essere una ragazza come tante altre ma, quando la sua vita comincia ad andare in pezzi e le accadono cose inspiegabili, l'idea che esista un mondo del tutto diverso da quello che conosce, nel quale lei è una persona molto speciale, comincerà ad apparirle meno incredibile.

E assieme a nuovi compagni d'avventure, dovrà imparare a combattere per conoscere a fondo se stessa, salvare la sua vita e, forse, il mondo intero.

L'autore

lanciotti

Stefano Lanciotti nasce nel 1967 e già a dieci anni scrive la sua prima opera, un libro di fantascienza "edito" su un quaderno delle medie.
Nel 2012 scopre il self-publishing e diventa un caso letterario, vendendo migliaia di copie, tra thriller e fantasy. Con Newton Compton poi ripubblica nel 2013 il suo primo thriller con il titolo “Israel - Operazione Tel Aviv” e nel 2014 la trilogia completa dell'agente Sara Kohn, composta da “Israel”, “Nemesis” e “Hydra”.
La saga fantasy ambientata a Nocturnia è giunta al sesto e conclusivo romanzo nel 2015. Con oltre 100.000 download gratuiti del primo romanzo, “Ex Tenebris”, e oltre 25.000 copie vendute degli altri cinque, è una delle autoproduzioni di maggior successo in Italia.
Nel 2016 pubblica “Il Libro delle Ombre”, un crossover tra il fantasy classico e urban fantasy, ottenendo subito un grande successo in termini di critiche e di vendite. Il secondo capitolo della nuova saga, “La Soglia degli Abissi” è stato pubblicato nella primavera del 2017, mentre il terzo e ultimo, "Il Grimorio Nero", è previsto per il 2018.

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Perché l'abbiamo scelto

Stefano Lanciotti percorre un filone classico dell'urban fantasy costruendo una storia coerente e con una forte efficacia narrativa, dove (nonostante si tratti del primo libro di una saga) le linee narrative non vengono lasciate aperte e sono tutte giustamente approfondite.

Nella trama sono ben dosate l'azione e la ricerca della risoluzione agli enigmi, i personaggi sono ben caratterizzati nel contesto del loro ruolo e sicuramente gli amanti del genere se ne innamoreranno, così come sapranno apprezzare la scrittura matura dell'autore.