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Defrag

Maurizio Capuano

Cluster #01/2018-02

Quella sera Marco aveva cenato presto e stava già masticando un toscano di fronte al portatile mezzo scassato, aperto sul tavolo della cucina. La luce dello schermo, filtrata dal fumo del sigaro, creava strani effetti luminosi nella stanza ormai al buio, acuiti da quel maledetto sfarfallio dei cristalli liquidi. Una pagina via l’altra, a colpi di mouse, ma quegli annunci non gli interessavano davvero, anzi lo innervosivano e basta. Non lo voleva, un lavoro.

Oltretutto, sembrava che a Torino cercassero solo operatori di call center e venditori di ogni tipo. Sapeva che quello non era il modo giusto di cercare un impiego, ma farlo così leniva il vago senso di colpa che provava di tanto in tanto.

Si alzò e accese le lampadine della cappa sul fornello di fronte al tavolo: non voleva troppa luce, ma neppure disfarsi gli occhi per colpa di quello scassone psichedelico che non si decideva a cambiare. Anche se sapeva che non gli sarebbero bastati fino alla pensione, si tranquillizzò ancora una volta pensando che poteva contare sui soldi messi da parte negli anni. E comunque nessun quasi trentacinquenne come lui credeva davvero che, prima o poi, lo Stato avrebbe elargito uno stipendio così, in regalo. Francesco gli aveva detto che quelli nati all'inizio degli anni Ottanta, come loro, erano chiamati Xennials perché appartenevano a una generazione a metà tra la Generazione X e quella dei Millennials, a metà tra l'analogico e il digitale. Marco non aveva mai verificato quell’informazione, ma aveva notato che la maggior parte dei suoi coetanei, anche più della metà, era ben inserita nella società, mentre tanti altri giocavano da fuori. Lui faceva parte del secondo gruppo, ma l’alfabetizzazione informatica o la sua formazione non c’entravano un cazzo. Anzi, forse proprio perché ricordava bene com'era quello analogico, cosa significava dover fare i conti con informazioni da sudare, curiosità insoddisfatte e roba simile, era perfettamente in grado di muoversi nel nuovo mondo digitale. A volte, infatti, si perdeva a cercare su Google risposte tardive a interrogativi della sua infanzia analogica o della sua adolescenza a 56 kbit/s. Quasi sempre, però, le risposte che trovava lo lasciavano insoddisfatto e così finiva col gingillarsi sui siti pornografici.

Ormai irrimediabilmente distratto, farsi una sega non gli sembrava un'idea malvagia. Non che ne sentisse il bisogno, e forse neppure la voglia, ma il Web avrebbe senza dubbio fornito alla sua libido sonnecchiante gli spunti necessari. Spense il sigaro, passò alla modalità Incognito, giusto per non sporcare la Cronologia, e indirizzò la navigazione su XVideos, uno dei suoi preferiti.

Come in tutto il resto, anche in quello l'abbondanza gli uccideva il desiderio ed era solito fissarsi su un singolo video o, al più, su una serie di video con la stessa protagonista: li guardava e li riguardava, a volte per giorni, fino a stufarsene come di un chewing gum masticato troppo a lungo.

Il suono del cellulare lo distrasse.

Francesco.

Avrebbe risposto dopo aver svuotato i coglioni.

Navigò con click sicuri fino ai video della categoria amateur, quella che preferiva. Li apprezzava perché gli ricordavano quelli che lui stesso aveva girato ai tempi dei primi smartphone. A che altro sarebbe dovuta servire quella fotocamera? Aveva riposto anni prima quella sua piccola collezione in un hard disk removibile, che aveva poi recuperato di recente, liberando la sua camera a casa dei genitori: purtroppo, in un eccesso di prudenza, aveva criptato i file così bene da non riuscire più a renderli fruibili. Pur ricordando la password che aveva scelto, infatti, Marco non sapeva come far funzionare il software necessario, ormai obsoleto. Così, quei ricordi malandrini erano diventati irraggiungibili, simili al rimosso di un inconscio virtuale cui neppure con l'aiuto del migliore psicanalista sarebbe riuscito ad attingere. Forse sarebbe bastato un buon tecnico, ma non gli piaceva l'idea di mettere quella roba in mano a un estraneo. Mentre scorreva i video disponibili su XVideos e, con dimestichezza, ne valutava l'interesse dalle preview, il telefono squillò ancora.

Francesco.

“Chissà che cazzo vuole…” pensò.

Al terzo tentativo dell'amico, prese l’iPhone e vide che le notifiche abbondavano: tutto, da WhatsApp a Messenger, era attivo.

Era sempre lui e così decise di richiamarlo.

«Si può sapere che cazzo succede, Fra? Stavo facendo la doccia» mentì.

«Dove sei? A casa? Devo parlarti.»

«Dai, dimmi che c’è!»

«Si tratta di Valentina.»

Non sentiva qualcuno pronunciare quel nome a voce alta da anni, ormai.

«E quindi?» gli chiese.

«Marco, non so come dirtelo... Valentina è morta ieri.»

Ancora col cazzo in mano e lo schermo pieno di stimoli, Marco poggiò il cellulare sulla scrivania, riattaccando senza dire una parola.

Cluster #02/2012-09

Marco arrivò a casa ben oltre l'ora di cena, quando oramai era buio da un po’. Salendo le scale vide che le luci della cucina erano accese: Chiara era appena tornata da lavoro, ma aveva già indosso la tuta.

«Ciao!» lo salutò con voce squillante.

Lui le rispose con un cenno e non disse nulla. Non aveva la forza di risponderle.

Tolse le scarpe, gettò nel posacenere la cicca che teneva spenta in bocca da chissà quanto e andò in camera. Lei lo lasciò tranquillo e mise sul fuoco una pentola piena d'acqua per fare un po’ di pasta: aprì il frigorifero e vide che, per fortuna, c'era ancora del sugo nel barattolo che aveva aperto il giorno prima.

«Marco, tu vuoi della pasta? Hai già mangiato fuori?» gli urlò, certa che la sentisse.

Lui però non rispose.

Lasciò passare qualche minuto, poi andò a vedere cosa stesse combinando e lo trovò seduto sul letto, al buio.

Gli si avvicinò senza accendere la luce perché sapeva che, di tanto in tanto, soffriva di emicrania.

«Che hai, non stai bene?»

Marco la cinse in vita e la strinse forte. Lei si stupì, non era da lui, poi si accorse che stava piangendo come un bambino e provò a confortarlo, ma era inconsolabile.

Non l'aveva mai visto così.

«Ma che è successo, tesoro?» gli chiese ancora.

Il tepore di quella domanda lo travolse e scatenò ancora di più la sua disperazione.

Alla fine Chiara rinunciò a capire.

A fatica lo staccò da sé e andò in cucina a spegnere il fuoco. Gli frugò nella giacca e prese una delle sue sigarette, la accese e per poco non si strozzò.

“Ma come cazzo fa a fumare questa roba?” si domandò.

Tornò in stanza da letto e gli porse la Camel: lui la prese, tirò un paio di boccate e scoppiò nuovamente a piangere.

Lo abbracciò di nuovo, in silenzio. Non aveva idea del perché, ma il suo più caro amico stava soffrendo, il resto non importava.

esci

Defrag

Maurizio Capuano

Defrag
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Lacerato per costituzione, Marco ha infilato un dito in culo alla vita più a fondo di tutti quelli che crede di conoscere, ma giocare sempre da fuori ha avuto un prezzo.

Messo di fronte all’ineluttabile, dovrà affrontare tutto ciò che si è lasciato alle spalle e scendere a patti col suo turbolento passato, nel tentativo di colmare il vuoto del suo nauseante presente.

L'autore

capuano

Nato a Torino nel 1983, Maurizio Capuano non ha paura di definirsi uno scrittore perché la scrittura è la sua principale occupazione, ma anche perché sporcare il foglio bianco è per lui un’esigenza di salute. Dopo la laurea in filosofia è entrato nel settore assicurativo, nel quale ha operato per diversi anni, fin quando ha deciso di uscirne per motivi che ancora cerca di inquadrare e dedicarsi a tutt'altro.
Defrag è il suo primo romanzo.


Perché l'abbiamo scelto

Defrag è esattamente come il suo protagonista: frammentato, sboccato, scorretto. Per questo vi lascerà disorientati, vi renderà complici, vi farà arrabbiare, vi aprirà un vuoto nello stomaco.

Capuano, per la sua opera prima, sceglie la strada più difficile: un romanzo di formazione che non si sviluppa in modo lineare, ma che ripercorre oltre vent'anni di vita del protagonista attraverso frammenti, cluster di ricordi (apparentemente) alla rinfusa.

Ed è una sfida che vince alla grande, tenendo saldamente le redini della storia e restituendo un quadro equilibrato e completo, che tratteggia un dipinto empatico del protagonista, avvolgendo tutta la narrazione con un senso di nostalgico rimpianto. Il risultato: un libro non per tutti i palati, ma che arriva forte e diretto come un pugno.