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L'ultimo priore

Piero Didio

Prologo

Ignaro viandante che queste memorie raccogli, a te non rivelerò il mio nome perché la mia discendenza non abbia a patire il volgare scherno, ma ti racconterò ogni cosa perché si svuoti la mia anima dalla putredine dello scandalo e possa ricolmarsi della grazia del Signore del Tempo e dello Spazio.

Solo la compassione di un carceriere mi permise di raccontare su questi pietosi fogli il mio tempo trascorso, affinché tu possa essere testimone del bene e del male che io vidi nello scontro tra le mura della mia disgraziata città, a vantaggio del male.

Sappi, fratello, che nella mia esistenza non mi mossi per compiacere Satana e le sue schiere ma per servire il Creatore di ogni cosa e amministrare la sua giustizia. Presto a Lui rimetterò la mia anima penitente ed Egli conterà i talenti che mi affidò e quelli che gli rendo, e prego il suo nome eterno che voglia mostrami la sua benevolenza perché ho servito la sua legge senza risparmio. E se il mio pugno batté duro fu perché s'intendesse, per la salvezza delle miserevoli anime affidate al mio sodalizio.

Dal mio operato non trassi profitto, non rimpinguò la mia casa di beni e ricchezze, al contrario ne ricevetti sciagure e lutti. Confido, invece, nell'abbondanza accumulata agli occhi dell'Onnipotente che renderà l'anima mia libera di volgere a Lui e ai suoi Angeli.

Non ti svelerò neanche il luogo dove vissi e dove si svolsero i fatti tremendi e sanguinosi che mi appresto a narrare perché la maledizione del novello Anticristo raggiunse questa terra grassa e feconda e la rese arida e petrosa. Non restò pietra su pietra della città che vi sorgeva, perfino la casa del Signore fu bruciata con tutte le sue sante e antiche reliquie; una sola ne salvai, la più importante e la più santa. Ora è riposta in un rifugio sicuro e il suo segreto sarà sepolto insieme a me nella mia sospirata tomba, ma il tempo non è ancora giunto.

Da Levante a Ponente, da Mezzogiorno a Tramontana il fruttuoso terreno fu arato e cosparso di sale rendendo sterili anche le colline di ciliegi e le vigne più prospere, e ancora echeggia tra le valli, ormai desolate, il terribile anatema dell'Anagnino: “Perché non vi resti nulla, nemmeno la qualifica o il nome di città”.

Tremenda fu la vendetta del falso padre, passò sulla città come un vento di fuoco impetuoso e spietato; le sue fiamme saettanti arsero finanche le sorgenti di acque fresche e lasciarono torbide pozzanghere di nero liquido vischioso e mortale. Solo le mosche e i vermi dei morti restarono a rimpianto della vita che arrise un giorno rigogliosa a questa terra magnifica e sventurata. Tutto quello che era non è più. Un'orrida ferita segnò la terra e, come un morbo infetto, imputridì ogni cosa. L'alito maligno e solforoso spense la vita e lasciò solo scheletri arsi di alberi che silenziosi gemono alla luna nelle lunghe notti d'inverno.

Uomini e bestie fuggirono maledicendo la sorte malvagia che si era abbattuta sui loro giorni e non faranno più ritorno perché questa terra sarà ricordata nei secoli solo per il funesto destino che la colpì. E se un giornola città sarà ricostruita, nuovamente verrà distrutta perché l'anatema scagliato fu potente e affidato al maligno che ha memoria ma non pietà, e nulla lascia di buono se può distruggere.

Ti chiederai il motivo di tanta ira e tanta spietata devastazione. Fratello, abbi la compassione di leggere la mia narrazione e non farti prendere dallo sconforto, e ti sia di monito poiché non tutto quello che appare sacro è santo; Satana è fallace e menzognero, si veste con stoffe pregiate e sontuose e non esita a indossare la corona di Pietro se questo è di strumento al suo disegno. Solo Iddio potente e onnisciente santifica il giusto senza errore e senza inganno. Un giorno splenderà più di mille soli e verrà a separare i capri dagli agnelli, avrà pietà dei suoi servi fedeli e scaglierà lingue di fuoco inestinguibili sui falsi profeti perché piangano in eterno i loro inganni e i loro malefici.

Confida nel Signore, fratello, chiunque tu sia, e prega per me perché ho timore della sua collera.

Capitolo 1 - Il tempo

Era l'anno della grande speranza. Nel mese di luglio dell'Anno del Signore 1294, al trono di Pietro era salito un uomo giusto e santo, anch'egli di nome Pietro e veniva dalle montagne del Morrone.

In gioventù aveva vestito il saio di Benedetto e si nutriva di preghiere e santità. A ispirare i cardinali suoi elettori, più che il Santo Spirito, poté Carlo II D'Angiò, Re di Napoli, che anelava alla sistemazione della questione siciliana con Giacomo l'Aragonese.

Il novello pontefice assunse il nome di Celestino V e fu salutato con giubilo da tutta la Cristianità che in lui riponeva grande aspettazione. Dal Granducato di Polonia al Regno d'Ungheria, dalla Francia alla Castiglia, popoli e regnanti acclamarono il papa eremita.

Ma fu anche l'anno della grande delusione perché dopo solo cinque mesi il maligno insinuò il timore nel vecchio cuore anacoreta di Celestino. Di notte si aggirava tra le sue stanze e gli sussurrava, con ingannevole voce d'angelo, di abdicare al trono pontificio, poiché questo era il volere di Dio. Lo stesso demonio che poi gli sarebbe succeduto e che veniva da Anagni. Celestino, cuore semplice e ingenuo, lasciò il santo soglio e fece ritorno alla sua grotta.

Ah, che magnifica illusione, la sposa di Cristo affidata all'uomo degno e santo che rifuggiva fasti e bagordi e ristabiliva la Chiesa degli apostoli, sobria e virtuosa. Meravigliosa chimera che durò un batter di ciglia, il tempo di un sospiro, un breve sussulto nel cuore ansioso del mondo. Ma l'uomo era debole e le sue spalle troppo vecchie e snervate per reggere il peso di tanta santità. Il richiamo del suo eremo e il silenzio della preghiera erano troppo forti, ma sopra ogni cosa poté il bisbiglio malefico del demonio, così Celestino abbandonò la sposa di Cristo tra lupi e briganti. Il suo successore gli aveva già scritto la legge, perché mai prima di allora un papa aveva lasciato, sua sponte, il suo ministero se non richiamato da Dio stesso. Solo Clemente I, all'epoca in cui la Chiesa era ancora troppo giovane e indifesa, lasciò da vivo, ma per volontà di Traiano che lo scacciò in terra di Tauride come un volgare malfattore.

L'Anagnino salì al soglio di Pietro dopo appena dieci giorni dall'abdicazione e fu grande sventura per il mondo, meglio sarebbe stato se il glorioso trono fosse rimasto vacante.

Ma non voglio qui anticipare i fatti che sconvolsero la Cristianità a Occidente; andrò per gradi a presentarti i personaggi e gli avvenimenti che segneranno quegli anni che saranno ricordati nei secoli tra i più bui nella storia della Chiesa. Qui voglio solo ricordarti che al nuovo papa non bastò l'abdicazione di Celestino perché ne ordinò la prigionia nella torre di Fumone e il suo assassinio; egli, infatti, temeva che i cardinali Colonna e i loro alleati potessero convincere il povero eremita a proclamarsi Antipapa.

Questo io attesto davanti agli uomini e all'Onnipotente.

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L'ultimo priore

Piero Didio

l'ultimo priore
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Una misteriosa e potente confraternita è la custode dell'ultima sacra reliquia della crocifissione di Cristo, portata in Italia da un cavaliere crociato due secoli prima. Celestino V, il papa eremita, che si dimette dopo solo cinque mesi dalla sua elezione e il suo successore che lo fa arrestare e (forse) uccidere. La Confraternita indaga sulla morte di Celestino V e invia un confratello a cercare le prove del suo assassinio per chieder l'intervento di Filippo il Bello. All'interno dell'Ordine dei Francescani si crea il movimento degli Spirituali, sorto dalle teorie di Gioacchino da Fiore un secolo prima,e sostenuto da Jacopone da Todi. Il nuovo pontefice scioglie il movimento, lo fa dichiarare eretico e fa radere al suolo la città dei cardinali Colonna che avevano appoggiato gli Spirituali. La storia è raccontata dal priore della Confraternita mentre termina i propri giorni in una prigione del papa.

Sono questi alcuni degli ingredienti di un romanzo che si dipana tra avvenimenti storici reali, intrecciandoli con una trama narrativa avvincente e intrigante.

L'autore

Piero Didio è nato a Montescaglioso in provincia di Matera nel 1958. Laureato in Economia e Commercio presso l'Università di Bari. Sposato con tre figli vive e lavora nella sua città natale dove svolge la professione di consulente aziendale.
Oltre a L'ultimo priore ha pubblicato: I tuoni di Monte Cupo, Magnificat e Pensieri e… Parole tutti con Youcanprint.

Il suo sito web


Perché l'abbiamo scelto

L'Ultimo Priore è un romanzo ambientato nel XIII secolo con uno scenario storico veramente molto accurato e fedele, che prende spunto della celeberrima abdicazione di papa Celestino V, e la successione del terribile e guerrafondaio Bonifacio VIII.

L'autore non si limita a farci un ripasso di storia, anzi, ricama una trama avvincente tramite le memorie del protagonista, il Priore della Confraternita del Sacro Chiodo, custode della più venerata reliquia di Gesù, ovvero uno dei chiodi che lo fissarono alla Croce.

Nonostante una sinossi e un lessico ricercato e arcaico (come si confà alle memorie di un priore del Medioevo), che possono intimorire il lettore lasciando presagire una lettura non semplice da seguire, ciò non si verifica mai durante l'intero percorso narrativo. Didio, infatti, mostra una padronanza assoluta della lingua italiana, in particolare nella sua forma più forbita, e riesce a costruire un romanzo scorrevole, interessante e credibile, senza mai allentare la tensione narrativa, dove anche le figure storiche realmente esistite (da Jacopone da Todi a Celestino V) vengono rese personaggi senza trascurare la loro veridicità storica.